lunedì 18 aprile 2016

Patologie psichiche e lavoro in Europa

Uno studio medico legale del Patronato INCA-CGIL

Il recente dibattito annuale di Eurogip dal titolo appunto “Patologie psichiche e lavoro in Europa” ci permette di ritornare sul tema dei rischi psicosociali e del loro riconoscimento assicurativo nei diversi paesi europei, tema al quale abbiamo dedicato diverse newsletter, di cui una allo studio di Eurogip del 2013 sul “Riconoscimento delle patologie psichiche correlate al lavoro: confronto europeo”.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea afferma che “ogni lavoratore ha diritto a condizioni di lavoro che rispettino la sua salute, la sua sicurezza e la sua dignità”. Oggi tutte le principali agenzie ed istituti  che si occupano di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (OSHA, BIT, OMS),  indicano che il primo pericolo per la salute nei luoghi di lavoro è lo stress con disturbi anche fisici e non solo mentali.
Secondo l’indagine EUROBAROMETER, il 27% dei rispondenti all’indagine soffre di stress, depressione e ansia, causati o aggravati dal lavoro. Il che fa sì che il tema centrale diviene quello delle disfunzioni organizzative che permangono ancora, malgrado le conoscenze in termini di prevenzione del rischio psicosociale, anche perché tutti i meccanismi messi in atto sono calibrati sulle aziende di maggiore dimensione.
Il Quadro strategico dell’Unione Europea in tema di salute e sicurezza al lavoro 2014-2020 pone fra le priorità quella dei rischi emergenti, sapendo che le patologie emergenti non figurano nella lista europea della malattie professionali e, come ha ricordato Costa-David, della Commissione Europea, non compete alla Commissione definire il quadro entro il quale le  patologie emergenti e, in particolare, quelle da rischio psicosociale possono essere  riconosciute e indennizzate.
Le realtà dei diversi paesi sono assai diverse e questo fa sì che non siano previste proposte legislative vincolanti su questo tema, ma in assenza di normativa specifica è possibile (si deve) fare riferimento alla direttiva quadro (89/391) relativa alla prevenzione dei rischi professionali che ingloba i rischi psicosociali nell’ambito della valutazione dei rischi. I datori  devono fare una VDR e se evidenziano dei rischi psicosociali devono adottare le misure adeguate e non possono nascondersi dietro al fatto che non vi sia una normativa specifica.
L’ultima raccomandazione del 2010 sulle malattie professionali ha previsto 3 campi, uno dei quali permette di poter riconoscere le patologie psicosociali come professionali secondo le normative dei singoli paesi. Mentre il gruppo di lavoro, che sta predisponendo le indicazioni da fornire ad Eurostat per riunire i sistemi statistici, ha affrontato il tema del rischio psicosociale concludendo con la decisione di non ricomprenderlo.
Il dibattito a livello europeo si va spostando dal tema della responsabilità a quello della prevenzione  per le ricadute in termini di mantenimento del posto di lavoro. Esemplificativa di questo nuovo atteggiamento è la recente normativa belga del 2014 “Sulla valutazione del rischio psico sociale”; normativa che ha completato quella degli anni 90 e che si caratterizza per una accentuazione dell’aspetto prevenzione allargata a questi rischi, con la previsione di una forma di accompagnamento del datore di lavoro per l’effettuazione  della valutazione da parte di un servizio di protezione. Viene previsto un consigliere  per la prevenzione con formazione specifica. Queste figure sono protette contro il licenziamento e sono indipendenti dal datore di lavoro, a cui rimane in capo la responsabilità dell’applicazione della normativa. Particolare importanza è data dalla modifica normativa che  prevede ora la richiesta di intervento e non più la semplice segnalazione della problematica all’organismo pubblico .
Tema della prevenzione che in tutti i paesi sta, anche, prevalendo su quello dell’indennizzo e questo per le difficoltà manifestate da tutti gli Istituti Assicuratori nella definizione dei parametri di riconoscimento.

Burnout
Attualmente, in diversi paesi europei l’attenzione in ambito del rischio psicosociale si sta concentrando sul tema del burnout, tema sul quale registriamo, invece, ancora una scarsa attenzione nel nostro paese. Si tratta di una condizione  e non una diagnosi di malattia tanto che il burnout non figura in alcuna della classificazioni attuali delle malattie mentali DSM-V dell’American Psychiatric Association e ICD 10 dell’OMS.
Sia il DSM-V che l’ICD 10 figurano fra le situazioni che possono essere oggetto di esame clinico  e che pongono problemi legati alla professione, al lavoro (“i temi da prendere in considerazione ricomprendono i problemi legati al lavoro o all’ambiente di lavoro, ivi compresi l’insoddisfazione per l'attività professionale svolta, gli orari di lavoro, la violenza sociale, altri conflitti e fattori di stress psicologico legati all'occupazione”).
Lo scorso anno l’ex-ministro francese Benoit Hamon ha presentato una proposta di legge sul risarcimento del burnout come malattia professionale, proposta di legge che è stata bocciata sia per i potenziali costi (3,2 milioni di persone sono a rischio di burnout in Francia) sia per le difficoltà di definire dei criteri di inquadramento.
Su questo tema  un punto importante che è emerso nel corso della Conferenza è che  ad oggi la ricerca biologica sulle malattie mentali e in neuroscienza non è sufficientemente sviluppata per poter utilizzare le conoscenze attuali  a livello diagnostico di stress e burnout. A questo riguardo il documento dell’Accademia di Medicina francese afferma: “il burnout rimane una entità mal definita sul piano biologico”.
Sottostima e sottodenuncia delle patologie
Il tema della sottodenuncia e della mancata emersione delle malattie professionale diviene estremamente significativo nel caso del rischio psicosociale. Il professor Legeron, nel Rapporto dell’Accademia di Medicina sul burnout, stima che fra il 20 ed il 25% della popolazione  sarà interessata nella sua vita da un problema mentale (dal semplice disagio o sofferenza fino alla patologie franche) e che una quota di questo disagio è correlabile alle condizioni di lavoro.
Il tema del disagio psichico sta diventando in molti paesi un problema di salute pubblica; si pensi che in Francia si registrano 11.000 suicidi all’anno con un tasso uguale a quello dei paesi del Nord Europa e doppio di quello registrato in Spagna e Italia. A determinare tale tasso intervengono anche i suicidi correlati al lavoro: fra il 2008 e il 2009 si sono registrati 35 suicidi fra i dipendenti di France-Telecom; inoltre, in Francia si registra un tasso elevato di suicidi fra gli agricoltori; dato questo che dovrà essere oggetto di approfondimenti..
Nel 2014, uno studio specialistico calcola in 3 milioni i soggetti interessati alla problematica del Burnout in Francia. Mentre uno studio commissionato dal governo belga indica che circa 19.000 lavoratori di quel paese sono colpiti da burnout e estrapolando questa cifra alla popolazione attiva francese l’Accademia di  Medicina calcola in 100.000 i possibili lavoratori colpiti.
Il Bollettino Epidemiologico dell’Institut de Vielle Sanitaire stima che il burnout è responsabile del 7% dei 480.000 casi di salariati affetti da sofferenza psicologica, cioè circa 30.000 lavoratori.
Il riconoscimento della patologie psichiche correlate al lavoro
Il riconoscimento delle patologie e dei disturbi psichici legati al lavoro avviene principalmente nell’ambito della tutela degli infortuni sul lavoro e solo molto raramente nell’ambito della tutela delle malattie professionali. Alcuni organismi nazionali di assicurazione, quale ad esempio quello finlandese, non riconoscono in alcun modo i disturbi psichici; altri paesi come l’Italia, la Danimarca, la Francia e la Svezia ammettono delle possibilità di riconoscimento, come vedremo nella disamina dettagliata per singoli paesi.
In tutti i paesi, molto diffuso è il ricorso alla giustizia per vedersi riconoscere il diritto al risarcimento assicurativo; su questo tema nel più recente incontro del gruppo di lavoro sul rischio psicosociale dell’ETUI si è deciso di costruire una banca data europea della giurisprudenza in tema di danno da stress, mobbing e burnout.
·   Danimarca. Questo paese è il solo in Europa che nel 2005 abbia inserito una patologia psichica  quale lo stress post-traumatico nell’ambito della lista nazionale delle malattie professionali.  Questa sindrome  viene invece riconosciuta  nella maggior parte degli altri paesi  come derivante da un infortunio sul lavoro.  Nel 2013, fu ipotizzato l’inserimento del mobbing nelle liste delle malattie professionali, ma la proposta è stata respinta.  In Danimarca l’estensione della lista delle malattie professionali viene decisa da un Comitato, che si riunisce 4 volte all’anno e che valuta sia la disponibilità di studi suggestivi ma anche il confronto fra l’incidenza nella popolazione lavoratrice e quella generale. Di tale Comitato  fanno parte i datori di lavoro, i sindacati e l’Ufficio della salute e della prevenzione.. Per le altre malattie psichiche, un comitato scientifico esamina i singoli casi di richiesta di riconoscimento del carattere professionale e circa il 4% dei casi è stato accolto, anche perché nel tempo si è registrato un allentamento dei criteri di riconoscimento. Lo stress viene riconosciuto solo sulla base di una diagnosi di depressione e in relazione ad eventi importanti quali violenze, minacce alle quali il lavoratore deve essere esposto direttamente e quindi vengono escluse dalla tutela le esposizioni di tipo ambientale. Mentre il mobbing viene riconosciuto solo se gli atti sono diretti direttamente contro la persona lesa. Negli anni, in Danimarca è stato registrato un aumento  netto dei casi di mobbing che oggi rappresentano 1/3 delle domande ricevute dall’Istituto Assicuratore.  Le  domande di riconoscimento, che sono fatte obbligatoriamente dal medico,  sono in costante aumento e hanno raggiunto il numero di circa 5.000 all’anno,  di cui solo il 4% porta al riconoscimento; e questa percentuale è invece stabile. Il numero delle domande presentate e dei riconoscimenti permettono di rilevare come nelle prigioni e nei servizi sociali la salute psichica stia peggiorando.
·      Svezia. Questo paese, che è stato fra i primi ad accogliere le patologie psichiche,  non  dispone di un sistema di lista delle malattie professionali. Il sistema si basa sul riconoscimento  caso per caso con la necessità per il lavoratore di portare la prova del legame fra la patologia e l’esposizione professionale a cui fa seguito sempre caso per caso una indagine volta a dimostrare il legame diretto con il lavoro; indagine che dura in media 4 mesi.  Un limite al riconoscimento di queste patologie è dovuto alla normativa che lega il riconoscimento alla perdita di reddito. Per lo stress si prende in considerazione il carico di lavoro, il lavoro a turni, il lavoro in solitario, le difficoltà di concentrazione dovute a fattori ambientali, esigenze in termini di conoscenze, durata del tempo di lavoro ecc. Nel riconoscimento hanno un ruolo importante le testimonianze dei colleghi, dei quadri, dei rappresentanti sindacali che lavorano con la vittima e un particolare valore viene poi dato alla durata. In pratica numerosi casi di patologie psichiche  vengono riconosciute ogni anno e questo già da alcuni decenni. Fra il 2013 ed il 2015 sono stati riconosciuti 243 nuovi casi di cui 143 da stress, 47 da mobbing, 11 da fattori organizzativi, 42 da altri motivi.
·    Finlandia.  Il sistema assicurativo finlandese è di tipo privato e prevede che la rendita si basi sul reddito/stipendio del lavoratore e sulla sua riduzione. In Finlandia il riconoscimento del carattere professionale di una patologia psichica si scontra con l’impossibilità giuridica. La legislazione finlandese definisce, infatti, una malattia professionale come una malattia  essenzialmente causata da agenti fisici, chimici o biologici presenti nel luogo di lavoro. Pur tuttavia, l’indennizzo di un lavoratore affetto da una patologia psichica è possibile nel quadro della normativa di tutela degli infortuni sul lavoro e in questo ambito vengono riconosciuti sia lo stress post-traumatico che lo stress acuto. Anche in questo paese si è svolta, in particolare nel 2011, una discussione sui criteri  definitori dei disturbi psicosociali che  si è conclusa con la decisione di non pervenire a definire tali criteri,
·     Francia. Il riconoscimento si basa  sulla analisi dei singoli casi effettuata dai comitati regionali per il riconoscimento delle malattie professionali (CRRMP). Tale riconoscimento si basa sulla prova del “legame essenziale e diretto” tra lavoro e stato di malessere. Nella pratica, un dossier su due perviene al riconoscimento (48%). Questo tasso di riconoscimenti è stabile da circa 10 anni  come pure è stabile la gravità dei casi esaminati, mentre quello che aumenta notevolmente è il numero dei casi presentati; infatti, il loro numero è raddoppiato negli ultimi tre anni. Nel 2013 sono stati 239 i  lavoratori che si sono visti riconoscere l’”esaurimento nervoso” come professionale. Il dibattito attuale verte sulla soppressione della percentuale minima di danno. Ricordiamo che in Francia per essere riconosciuta una malattia non contemplata dalle tabelle di legge deve aver determinato una riduzione della capacità di lavoro di almeno il 25%. Gli oppositori di questa proposta ritengono che introdurre una differenza fra questa categoria di patologie lavoro correlate e le altre porrebbe un problema di equità.
Italia. Sono circa 500 i casi riconosciuti dall'INAIL per stress collegato al lavoro delle quattromila denunce presentate all'Istituto negli ultimi 10 anni. I dati sono stati presentati nel corso di una audizione al Senato dedicata al mobbing. Sulla base dei dati rilevati nel corso degli anni è risultato che per il 64% dei casi di malattia da stress collegato al lavoro è stata riconosciuta dall'INAIL una indennità in capitale, mentre appena per il 9% una rendita e per il 27% solo una indennità per inabilità temporanea al lavoro o non è stato riconosciuto alcun indennizzo. È molto bassa anche la percentuale di casi riconosciuti per questa malattia (pari al 13%), contro il 40% delle altre malattie professionali.

Tutta la documentazione può essere richiesta alla Consulenza Medico-Legale Nazionale via e-mail all'indirizzo m.bottazzi@inca.it ; r.bottini@inca.it

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