Piccoli lettori
crescono:
una biblioteca nella scuola dell’infanzia
Donatella Franken
1 – la lettura
Si dice spesso che il buon libro, come
il bel film la bella fotografia, quadro,opera, è quello che apre la mente ai
dubbi, che ti lascia andar via con delle domande aperte, che continua dentro di
te in un tempo assorto nella ricerca di soluzioni coinvolgendo
l’intelligenza e l’emozione.
Quando questo succede a me, adulta, non
ho del fatto una coscienza così immediata e chiara. Posso dire “mi è piaciuto”, aver voglia dopo un po’ di
discuterne.
Nei bambini piccoli, quando questo
succede, si vede subito.
Non perché in maggioranza i piccoli scelgano quel libro di qualità nel mucchio per il prestito. Scelgono anche
seguendo stimoli vari, non escluse le campagne massmediali con il loro corredo
di oggettini tanto apparentemente vuoti
come giochi, quanto carichi di significati sociali e psicologici.
Il libro che porta quel messaggio in
copertina, nato in messe abbondante di etichette improvvisate, testi scadenti,
orride illustrazioni, finte interattività, pretese didattiche più o meno
cartonate e traforate, imitazioni di modelli incompresi, spesso tradisce
l’attesa del bambino che comunque inconsapevolmente riesce a riempirlo di ciò
che manca, con sua creazione.
Anche la mia biblioteca della scuola
dell’infanzia di Pero è piena di questa fuffa. Mettendola in piedi, quattro
anni fa, ho acciuffato di tutto, per avere un numero sufficiente di testi da
permettere la scelta a una sezione dopo
l’altra, mano mano che i libri vengono portati a casa. ( Sei sezioni di
venticinque bambini circa, in cui intervengo
con il ritmo di due alla settimana, perché gli altri giorni devo
lavorare in segreteria). E nessuno dei presenti salta mai un giro di prestito
come accade alle elementari, e sempre più, salendo di classe, man mano che la
lettura diventa più impegnativa come volume.
Ma la mattina, in classe, si legge.
Qualche volta leggo ai bambini,
ma normalmente leggo con i bambini, in piccoli gruppi, nell’angolo morbido
che allestiamo al momento, dentro il “loro” spazio-classe, anche nel leggero
fastidio delle attività degli altri gruppi che giocano nei centri d’interesse
dell’aula. Siamo comunque protetti, isolati nell’alone creato da quel
quadratino di carta e cartone. Lì dove gli occhi si incontrano, imitando lo
sguardo attento del lupo in cerca di preda, quello stupito di arlecchino in
cerca del proprio nome, della pimpa divertita dalla scoperta delle
regole del vivere…
Allora la fuffa la imbosco nelle
cassette riservate al pomeriggio, per l’ora del prestito. Perché non ho voglia
di riadattare a braccio il testo verboso
e scorretto che segue le avventure di quei dalmata lacrimosi mal disegnati( a
volte lo faccio, nei giorni in cui strabocco di buona volontà), o di cercare
assieme una qualche magia nell’avventura di quell’Aladino dai nomi anglicizzati
che avrebbe senso solo se conservasse,
per assurdo, il carattere un po’ mafioso e maschilista dell’originale antico,
insomma tutto da reinventare.
Ma il buon libro si vede subito. Negli
occhi dei bambini mentre leggiamo. Si vede nel breve silenzio che segue
l’ultima parola. Sotto, appoggiato alle mie cosce, c’è il mucchio dei libretti
in turno d’attesa; ognuno controlla l’avvicinarsi del proprio e, avanti, “ adesso il mio!” in
ritmo incalzante come quello degli spot, a
riempire ogni vuoto. Ma quando parole, colori e forme e spazi e attese
riescono magicamente a ricalcare i modi in cui il pensiero infantile procede,
in cui procede la paricolare forma di costruzione del mondo e del sapere,
l’architettura, anche, del castello interiore dei sentimenti, la coscienza in
formazione del crescere, allora
c’è una pausa, come una piccola tregua dei litigi insignificanti
e delle comunicazioni trascurabili a favore di un pensiero autentico e di una
comunicazione reale.
A volte è una osservazione leggera e
penetrante, una domanda a cui qualcuno risponde con un ricordo,
un’associazione, una previsione.
Ogni lettura, come del resto ogni gioco
che si attiva nella scuola dell’infanzia, è una strada da cui si diramano una
quantità di sentieri secondari. Dio sa dove si arriva ( o in che punto si ritorna ) imboccandone uno e lasciandosi
prendere dal viaggio. E’ facile passare ad altri linguaggi espressivi o
esplorativi. Aggiungere nuovi personaggi e nuovi accadimenti d’invenzione,
dotare l’azione di materiali, strumenti, oggetti che si caricano, nella
costruzione o nella trasformazione, dei sensi magici del racconto.
In realtà non è la lettura ad
aver bisogno di un’animazione a…, essa
la induce, si anima per naturale sviluppo. Si può lasciare che succeda
ora, qui, mentre siamo insieme. E niente è più spontaneo, nella scuola
dell’infanzia: si scatta in piedi ed il corpo è sempre pronto ad essere
traversato e ad attraversare le esperienze. Il corpo intero prima di ogni altra
cosa, con percezioni e azioni globali, prima ancora di prolungarsi in oggetti e
oggettivarsi in paesaggi o colori.
Questo non significa che tutto avvenga
nella più facile e disimpegnata spontaneità. Dopo l’idea nata dal momento
magico di comunicazione ci vuole un progetto, un lavoro, un’impegno in cui
ognuno renda il massimo. Come quando da una brevissima filastrocca, apparente
non-sense su balconi e vecchiette, siamo arrivati ad immaginare lo spazio
percorso dai fili invisibili della vita e imbastire su di quelli una danza. All’inizio era un gioco che è nato
con la costruzione degli strumenti che ci servivano, spade,coltelli, intrecci
di fili colorati e paglia, si è sviluppato tessendo, tagliando, galoppando nei
venti, combattendo al ritmo di diverse musiche, fino a definirsi in una specie
di coreografia sempre più precisa. Quattro danze, anzi, da inventare
prima,poi imparare e poi riprodurre per
gli altri.
Non sempre condivido le tante iniziative
raffazzonate di cosiddetta animazione al libro che si muovono come se il libro
, per diventare interessante, avesse bisogno di un’accozzaglia di giochetti da
scimmie, legati al testo da associazioni pre-programmate.
In realtà si può scegliere:
٭ si può seguire il sentiero che
dal libro si apre ora, tenendo vive le onde di comunicazione che si creano nel
piccolo gruppo ( a volte è bello, è utile, è collegato con un progetto
didattico dell’anno scolastico ).
٭ Oppure si può fermarsi lì e
così: affidare la lettura al vento dalla riva come una vela e lasciarla andare
dove comunque andrà, indipendentemente dalla maestra e dai suoi programmi, a
casa dei bambini e dei loro genitori, dei nonni, ai giardinetti, in macchina,
in cameretta. Ovunque i bambini costruiscono il loro mondo immaginario, come
sempre fanno con determinazione caparbia.
Questa seconda scelta è la base quotidiana del nostro lavoro di
lettura presso la scuola dell’infanzia di Pero. Sicuramente con qualche imput
di improvvisazioni vocali o mimiche,
scherzi e commenti che proprio sono il pane giornaliero tra i tre e i sei anni,
impossibile comunicare diversamente. Ma la lettura è principalmente lettura.
La formazione dell’immagine
interiore e la nascita di onde di comunicazione ne sono i fatti costitutivi
Leggiamo seduti in intimità a terra
e sul morbido, con la vicinanza che
permette di abbassare la voce fino a sussurri e di cogliere le sfumature degli
sguardi , delle reazioni, del rilassamento e delle tensioni dei corpi. .
Non abbisognano d’altro le storie di
Piumini, Munari, Altan, di Fatus, Batutt
e quante hanno risonanze così felici e immediate.
Non più di quanto avessero bisogno i
libri sulla vita degli insetti, dei ragni e degli scorpioni , per la curiosità
di Luca, un bambino più grande, alle elementari, così distratto e problematico
in classe, quanto attento ed esperto in questo campo delle scienze. Ciò che
necessitava a quel libro era solo di essere là aperto sul tavolo il martedì,
per lui.
2 – il prestito
Il pomeriggio, verso l’orario d’uscita,
metto tutti i libri tutti distesi sui tavoli fuori della classe perché siano
ben visibili per la scelta . Le operazioni del prestito avvengono all’arrivo
delle famiglie.
I primi anni avevo un carrellino di quelli che si usano
per le valige, e alcune cassette del mercato di plastica di vari colori, quelle
di forma più aggraziata che avevo trovato. Legavo le cassette piene con
l’elastico sul carrellino per trasportare i libri dalla sala docenti. Adesso
arrivo in classe con un carrellino più capace, sul piano basso la trapunta che,
guarda caso, porta stampati dei topolini. Ma le cassette sono sempre quelle,
che poi servono anche per la raccolta dei libri in rientro.
“
Vede quella cassetta verde col
cartellino BIBLIOTECA?” spiego ai nonni impacciati esattamente come lo spiego
ai bambini “ tra una settimana depositerete il libro là dentro.
“ ma c’è qualcosa da pagare?”
“ci mancherebbe altro”
Le regole vengono assunte dai
bambini con facilità e dopo qualche anno si trasmettono da sole, in automatico. Mi stupisco di
come vada tutto liscio con bimbi stranieri di tre anni che non dicono una
parola in italiano. Di come escano dalla classe, vengano sicuri ai tavoli dove
ho spiattellato tutta la mercanzia, comprese le biancanevi di seconda scelta, e
mettano la mano sicura su quello che avevano già deciso, o sul libro che
assomiglia a quello dell’amico.
Sono le nonne che fanno i capricci, o i
giovani zii frettolosi:
“ metti il cappotto, togli le pantofole,
ricordati dell’avviso, il bambino che mi
scappa da tutte le parti… e ora anche il libro!”
e poi
“ ma bisogna anche scrivere?”
“si, il cartellino di prestito”
“E proprio oggi non ho gli occhiali “
“ allora glielo compilo io“
e poi
“biblioteca? Si porta a casa il libro?”
“esatto”
“ma mio nipote non sa ancora leggere,
signorina, ha tre anni !”
Ma se la biblioteca salta per qualche
motivo una settimana, già qualcuno si lamenta. Altri arrivano dalla classe non
di turno perché l’alunno settimana scorsa era assente . Qualcuno vuole un libro
anche per il fratello. Poi si discute del perché è la terza volta che Fabio
sceglie lo stesso libro e la mamma è stufa di rileggerlo o pensa che adesso ce
ne voglia uno diverso. Poi si discute del passaggio della prima elementare. Chi
legge? La mamma o il bambino? O del perché “mio figlio è pieno di libri a casa
e adesso vuole proprio quello lì, tutto rovinato”. E della restituzione “ le
assicuro che l’ho già riportato, a casa non c’è”
Sarebbe semplice far compilare il
cartellino direttamente ai bambini, e far mettere il libro nel guardaroba. Del
resto a quattro cinque anni il proprio nome lo si sa scrivere, del resto certe
biblioteche sono riservate ai cinque anni, come se si trattasse di prepararsi
alla scuola, orrido concetto.
Ma poi dove finirebbe quella messe di
piccole occasionali comunicazioni che
in realtà ci arricchiscono, e la visibilità del lavoro della scuola, e la
continuità degli ambienti di vita per i bambino? Non è meglio accollasi la
scocciatura di qualche pasticcio di registrazione, di qualche lamentela, di un
po’ di pressione? ( perché come sapete gli adulti non rispettano i turni come i
bambini ed hanno sempre fretta )
Nonostante la fretta, comunque,
apprezzano, e lo dimostrano in varie occasioni.
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